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Aprile 2009, h 3.32, L’aquila.
La terra trema con una potenza
devastante: 5.9 della scala Richter. Trenta secondi di puro terrore mentre la
popolazione, svegliatasi di soprassalto, tenta di salvarsi e di evacuare le
proprie case. Immediate sono le operazioni di soccorso messe in atto non solo
dai vigili del fuoco e dalla protezione civile, ma anche di coraggiosi
volontari tra cui spicca l’eroe dell’Aquila rugby Lorenzo Sebastiani, che
morirà sotto le macerie durante i soccorsi.
Intere frazioni come Onna e
Fossa, entrambe in provincia dell’Aquila, sono completamente rase al suolo. Il
bilancio della tragedia è devastante: la provincia è in ginocchio, paesi interi
sono distrutti, i feriti sono circa 1178, di cui 200 gravissimi portati in
ospedale d’urgenza, e i morti ammontano a 309. Alcune persone vengono estratte
dalle macerie solo molte ore dopo come la studentessa Marta Valente, 24 anni,
tratta in salvo dopo 23 ore da sotto i resti della casa dello studente, oppure
la signora Maria D’Antuono, 98 anni, salvata dopo 30 ore, la quale ha
dichiarato di aver trascorso tutto il tempo a lavorare all’uncinetto.
I funerali sono stati celebrati
il 10 di Aprile, di venerdì santo. Alla funzione hanno partecipato le più alte
cariche dello stato. Qualche tempo dopo si è svolto nel capoluogo abruzzese il
G8 a cui hanno partecipato i più potenti uomini della terra, tra i quali il
presidente americano Barack Obama. Quest’ultimo è rimasto colpito dalla rovina
presente all’Aquila, che non solo ha l’aspetto di una città ferita da una grave
catastrofe, ma il cui dolore è stato spettacolarizzato e usato per aumentare la
propria visibilità agli occhi delle altre nazioni e dei media. Molti dei
sopravvissuti sono stati portati in hotel situati sulla costa a spese dello Stato
in modo da avere un tetto sulla testa, ma i meno fortunati sono stati costretti
ad ammassarsi nelle tendopoli che sorgono ovunque in tutte le provincie
d’Abruzzo.
Dopo un anno, al freddo, con
l’igiene a livelli minimi e il poco cibo che viene servito dagli angeli della
protezione civile e dai volontari giunti da tutta Italia, coloro che vivono in
queste condizioni precarie decidono di andare a manifestare direttamente a
Roma, guidati dal sindaco dell’Aquila e da altre importanti autorità abruzzesi,
per dare voce alle loro proteste legittime, dato che lo Stato si era impegnato
a sgombrare le tendopoli al massimo nel giro di un anno. A Roma, però, il
corteo viene fermato e caricato dalla polizia e i manifestanti vengono presi a
manganellate. Tra i feriti figura proprio il sindaco dell’Aquila.
Il senso di delusione e
amarezza che si diffonde dopo l’episodio è profondo: lasciati a loro stessi, i
terremotati decidono di non aspettare più i comodi del governo e alcuni di loro
decidono di comprare un’abitazione a loro spese e andarsene dalle tendopoli.
Alcune case di legno vengono fornite dallo stato, ma sono piccole e quasi
mancano dei comfort più basilari. Molti si accontentano, ma altri invece
decidono di rimanere nelle tendopoli o negli hotel. E qui sorge un altro
problema: i proprietari degli alberghi sono preoccupati. Chi pagherà il conto
dei “clienti”? Quando si potranno rendere gli hotel nuovamente agibili? Nessuno
lo sa.
Nei primi tempi si erano fatti raccolte,
concerti e collette che hanno aiutato la provincia a sollevarsi un po’, ma non
è bastato. Quando l’ “effetto novità” è passato e la situazione ha perso
visibilità mediatica è scomparsa l’informazione e con essa sono scomparsi gli
aiuti della gente. Già dopo un anno dal sisma non si pensava più tanto al
terremoto, che aveva scatenato una vera e propria psicosi, aumentata dai media.
Si diceva “ci penserà lo Stato, ha promesso di occuparsene, non è affare mio”.
E si andava avanti. Ma a quasi tre anni dal sisma alcuni dei terremotati si
trovano tutt'ora in quegli alberghi. L’unico aiuto concreto che lo Stato ha
dato è stato il cosiddetto “Decreto Abruzzo”.
Questa
è ed è stata la situazione degli ultimi anni. La domanda di base a cui spero
che qualcuno riesca a rispondere è: c’è qualcuno che dopo due anni e mezzo si
ricorda ancora della tragedia che ha colpito l’Abruzzo, che si rende conto che
c’è ancora gente costretta a vivere nelle tendopoli? Qualcuno che si chieda
ogni tanto se può fare qualcosa? La risposta per almeno il 70% degli italiani è
no. Perché ai nostri giorni tutte le cose vanno di pari passo e anche la
solidarietà si è dovuta adeguare: va di pari passo con lo share televisivo.
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