giovedì 29 marzo 2012

CAOS DENTRO: INGIUSTIZIE CIVILI

Questa settimana è venuto a mancare Antonio Tabucchi, grande intellettuale italiano, innamorato del Portogallo. Personalmente ho trovato molto bella la descrizione che di lui ha fatto Marco Travaglio sul “Fatto Quotidiano”, raccontando del suo rapporto di amicizia con Tabucchi e restituendoci un po’ della sua personalità, lontano dal  solito coccodrillo stringato e freddamente biografico. 

Ho letto l’articolo tutto d’un fiato. Leggendo del coraggio delle proprie idee, della coerenza con i propri principi, della forza del rifiuto di fronte all’ipocrisia; non ho potuto fare a meno di pensare a quante volte, quotidianamente, molte cose le facciamo passare sotto silenzio. 
Non mi riferisco solo alla politica (il che è abbastanza grave e di cui frequentemente si parla), ma anche alle situazioni, più o meno conflittuali, in cui quotidianamente ci troviamo. 

Questa amarezza nasce dall’osservazione dei comportamenti delle persone che a volte mi capita di incrociare, sul tram o per la strada, in sala d’attesa o sulla metropolitana. E allora io mi chiedo come sia possibile che nessuno intervenga quando una donna viene aggredita verbalmente da un gruppetto di uomini, quando un anziano che ha bisogno di aiuto non viene soccorso o quando ti urtano violentemente e anziché scusarsi ti rovesciano addosso un fiume di parolacce. Come si può stare fermi a guardare? 

Questi sono esempi banali, ma fino a quanto possiamo tollerare un’ingiustizia? Noi che osserviamo inermi non siamo, forse, altrettanto colpevoli come chi quell’ingiustizia la provoca? A volte lo facciamo per conformismo, altre volte per paura di esporci, altre ancora per evitare lo scontro o  perché troppo distratti dalla frenesia dei nostri giorni. 

Così pian piano scendiamo a compromessi, fino a perderci completamente. Compromessi che non danneggiano solo gli altri ma anche (e soprattutto) noi stessi.



 “Che strano, pensaci un po', mio padre studiava le vite vicinissime col microscopio, mio nonno cercava quelle lontanissime col cannocchiale, entrambi con le lenti. Ma la vita si scopre a occhio nudo, né troppo lontana né troppo vicina, ad altezza d'uomo”.

(A. Tabucchi, Tristano Muore. Una Vita, 2006)

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