Rabia Balkhi è il nome di una poetessa afghana del X secolo, figlia del governatore di Balkh che divenne famosa nei circoli letterari grazie alle sue composizioni liriche in arabo e persiano. In una di queste occasioni Rabia declamò alcuni versi in cui confessava di amare uno schiavo di suo fratello. Quest’ultimo, sentendo il nome della sua casata in relazione a quello di un servo, si infuriò a tal punto da ordinare che la sorella venisse condotta nell’hammam e le fossero tagliate le vene. Prima di morire Rabia scrisse col proprio sangue alcuni versi sulle pareti del bagno, sia in dedica al suo amato sia come atto d’accusa nei confronti del fratello assassino.
Ispirandosi alla vita di questa poetessa, Rabia Balkhi è divenuto il nome di una delle prime emittenti radio indipendenti, RABIA BALKHI RADIO , costituitasi dopo la caduta del regime talebano.
“Frequentavo la scuola nella provincia di Balkh, e vedevo continuamente ingiustizie e violenze contro le donne. Ricordo di aver iniziato a provare tanta rabbia e indignazione.
Mi chiedevo perché nessuno si attivasse per cambiare le cose.
In quel momento è nata l’idea di realizzare un programma radiofonico per aiutare le mie connazionali a cambiare le proprie condizioni di vita. […] L’analfabetismo è la regola. Soprattutto per le donne. Volevo raggiungere e parlare al maggior numero possibile di afghane. Per questo motivo l’idea della radio mi sembrava la più indicata”.
In quel momento è nata l’idea di realizzare un programma radiofonico per aiutare le mie connazionali a cambiare le proprie condizioni di vita. […] L’analfabetismo è la regola. Soprattutto per le donne. Volevo raggiungere e parlare al maggior numero possibile di afghane. Per questo motivo l’idea della radio mi sembrava la più indicata”.
Queste sono le parole di Mobina Sai Khairandish, 30 anni, giornalista afghana e direttrice di RBR e conduttrice del programma a “Mani Aperte”, in cui si offre supporto legale alle donne afghane:
“Nel 2008, con il supporto di ActionAid, ho seguito una formazione come consulente paralegale.
Con “Mani Aperte” oggi offro spiegazioni sulle questioni giuridiche. Affronto casi reali e cerco di semplificare il linguaggio tecnico delle leggi. Dibattiti in diretta, tavole rotonde, fiction radiofoniche e spot informativi. Noi di RBR utilizziamo tutti gli strumenti possibili. Voglio avvicinare le donne afghane al diritto”.
Come Mobina, molte altre donne lavorano in medio oriente, in Afghanistan come in Iran, per aiutare le loro connazionali a prendere coscienza dei propri diritti (150 donne senza paura). Affinché le cose cambino fondamentale è l’istruzione, che consenta di acquisire quel senso critico necessario per vedere le cose da un altro punto di vista, in modo diverso da come è stato loro imposto. Si tratta di un processo culturale prima ancora che politico. Un filo invisibile ci lega a Mobina e a tutte le altre donne che coraggiosamente si battono per i propri diritti. Anche nel nostro paese è possibile fare qualcosa per aiutarle, per affrontare la condizione di doppia emarginazione in cui esse si trovano a vivere: donne e immigrate. L’aiuto non è imporre il nostro modo di vivere, di pensare, come si è cercato di fare, ad es. con proposte di leggi “anti-burqua” (scusate la semplificazione). Adottando un atteggiamento di questo tipo non si farebbe altro che rendere più profonda la frattura tra mondi culturali diversi, aumentando la diffidenza, fomentando un clima di odio, incomprensione e allontanando per sempre l’opportunità di aiutarle realmente. Siamo noi che dobbiamo vestire i panni dell’altro, avvicinarle e cercare di guardare la realtà con i loro occhi, con umiltà, senza l’arroganza di chi crede di avere la verità in tasca.
Io penso che solo allora saremo davvero in grado di aiutarle, di innescare quel cambiamento culturale che le renda libere.
Libere da condizioni di vita che a esse sono state imposte.
Libere da imposizioni culturali ad esse estranee.
Libere perché in grado di scegliere ciò che è meglio per se stesse.
Un processo lungo, tortuoso e pieno di ostacoli (primo fra tutti la lingua, se si pensa che spesso le donne immigrate rimangono in casa, non lavorano e hanno limitati rapporti con il mondo esterno al “gruppo dei pari”). E’ un percorso necessario, per loro ma anche per noi. Si, anche per noi, perché abbiamo l’opportunità di imparare a conoscere l’altro e di farci conoscere, in uno scambio alla pari, dove la diversità non è più motivo di scontro o di paura, ma di arricchimento sia per coloro che ne sono direttamente coinvolti sia per la società nel suo complesso.
Il pensiero, in questa giornata, va a tutte quelle Donne che, in tutto il mondo, si battono per i diritti delle donne, per la loro difesa nei confronti della violenza, fisica e psicologica e le sostengono dando loro la forza di reagire e di dire BASTA.
Vi voglio salutare con un pezzo del film “Una separazione” (2011) di Asgahr Farhdi.
QUI IL LINK PER SOSTENERE MOBINA E I DIRITTI DELLE DONNE AFGHANE
http://www.actionaid.it/it/cosa_puoi_fare/giustiziasociale/storiecambiamento.htmlUn caro augurio a tutte!
Non conoscevo la storia di Rabia Balkhi. Complimenti per la scelta e l'ottimo articolo.
RispondiEliminaOrvuar,
Il Cantastorie