Ormai ovunque si sente parlare di crisi, di carenza di lavoro, ma soprattuto del low cost cinese che viene spesso scelto da noi al posto del “Made in Italy”. Sembrerà strano, ma in Cina appena si possiede un reddito minimo, si comprano e si ricercano solo materiali e prodotti italiani.
Per poter ripartire in questo difficile periodo è quindi necessario avvicinarci sempre di più al modello cinese? La risposta è si. Ma non lo stereotipo dell’immaginario comune, con operai costretti in catena di montaggio a stipendi bassissimi pur di ottimizzare i costi.
Molte aziende italiane, infatti, vengono acquistate o vedono nel loro consiglio di amministrazione imprenditori cinesi affascinati dal successo di queste industrie. Dopo un breve assestamento, causato dal cambio dirigenziale e dalla presenza di nuovi leader, queste imprese ripartono combinando l’estro e la tecnologia italiana con le tecniche e la produttività cinese.
La produzione italiana, in mano per la maggior parte a piccole e medie imprese, adotta la scelta della riduzione dei costi a scapito della qualità e realizzando dei prodotti sempre più simili al “Made in China”. Questa strada permette di sopravvivere per qualche anno, senza trovare nuovi mercati e nuovi acquirenti.
La strategia cinese nelle industrie italiane, invece, combina la produttività cinese a quello che è e sempre sarà l’orgoglio italiano: la RICERCA.
Le piccole industrie non potranno mai permettersi un laboratorio di ricerca, ma possono sempre affidarsi allo sviluppo affiancandosi alle università, al CNR o ad altre aziende per poter sviluppare assieme nuove tecnologie sempre all’avanguardia.
L’apertura dei nuovi laboratori può, oltre che dar nuova vita e vigore alle imprese, favorire l’inserimento di nuovi ricercatori, creando nuovi posti di lavoro e impedire la fuga dei cervelli all’estero.
Impariamo quindi dai mercati emergenti, rimanendo quello che siamo. Sfruttiamo quello che ci ha contraddistinto negli ultimi decenni e applichiamolo a ciò sappiamo fare meglio. Diamo quindi libertà ai giovani laureati e diplomati di fare quello per cui hanno tanto studiato, invece di relegarli a compiti di operai o impiegati a lavori di routine. Troviamo il modo di realizzare strutture organizzate e all’avanguardia per poter sperimentare quello che i giovani ricercatori sanno per dare il giusto apporto all’economia italiana,.
Altri mercati, come quello tedesco, hanno già sperimentato questa strada e il risultato di tanti sacrifici fatti viene raccolto in questo periodo.
Perché in Italia, popolo di grandi pensatori, scienziati e inventori, tutto questo non può realizzarsi?
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