“Non si conoscono che
le cose che si addomesticano”, disse la volpe. “Gli uomini non hanno più tempo
per conoscere nulla. Comprano dai mercanti le cose già fatte. Ma siccome non
esistono mercanti di amici, gli uomini non hanno più amici. Se tu vuoi un amico
addomesticami!”
“Che bisogna fare?”
domandò il piccolo principe.
“Bisogna essere molto
pazienti”, rispose la volpe. “In principio tu ti siederai un po’ lontano da me,
così, nell’erba. Io ti guarderò con la coda dell’occhio e tu non dirai nulla.
Le parole sono fonte di malintesi. Ma ogni giorno tu potrai sederti un po’ più
vicino…”
Antoine De Saint-Exupèry
Sto passeggiando per i corridoi psichedelici di un centro
commerciale qualunque. Ogni tanto il mio
sguardo si posa sulle vetrine lucidissime dei negozi, talmente lucide che ci si
potrebbe benissimo specchiare, e sono pronto a scommetterci che qualcuno di
nascosto lo faccia già.
Non m’importa se la maggior parte dei prodotti esposti non me li possa permettere.
Io li osservo ugualmente, per di più con estrema attenzione. Poiché quelli non
sono semplici oggetti, ma sono veri e propri indizi, messi apposta ad indicare
di cosa ha apparentemente bisogno l’uomo contemporaneo. E questo è un dato di
fatto: ormai gli oggetti possiedono un valore nettamente superiore rispetto ai
sentimenti, alle emozioni e a tutto ciò che di astratto esiste nel mondo.
Penso che all’entrata dei centri commerciali dovrebbero
innalzare un bel cartello con scritto sopra:
“Benvenuti nell’epoca del consumismo, dunque consumate, consumate,
inesorabilmente consumate!”.
Ma tanto sono convinto che non lo metteranno mai. E’
necessario far credere alla gente che il fatto di acquistare qualcosa sia una
loro vera scelta, non bisogna assolutamente fargli acquisire la consapevolezza
di non essere altro che dei banalissimi consumatori, dei burattini
completamente alienati, comandati a bacchetta dalle severe leggi imposte dal
mercato globale.
Più osservo tutte queste persone che mi camminano a fianco,
che mi sorpassano, che mi arrivano dalla direzione opposta, più mi viene da
chiedermi che fine abbiano fatto gli esseri umani.
Ognuno procede lungo la sua strada senza la necessità di
stabilire contatti, senza sorridersi, senza stringersi le mani e talvolta senza
neppure fissarsi un secondo negli occhi. Siamo come spettri, invisibili gli uni
agli altri. In questo posto
paradossalmente troppo allegro, l’unica cosa concreta sono i bisogni inutili
che la società, i mass media e tutte quelle geniali diavolerie pubblicitarie
hanno reso essenziali. Mentre noi siamo diventati poco alla volta sempre più
diffidenti e sempre meno coinvolti dalle questioni umane. Capisci ciò che
intendo dire? E’ come se ci fossimo dimenticati del fatto che apparteniamo
tutti quanti ad unica immensa famiglia. Abbiamo rimosso questa preziosa
informazione dal nostro codice genetico. E non solo, ci dividiamo in
sottogruppi. Cerchiamo volutamente dei pretesti per spaccarci e dividerci. Le
ideologie politiche, le nazionalità, le religioni, i colori delle pelle, i
gusti sessuali..
Tutto ciò mi fa ritornare alla mente un famoso detto che
dice più o meno così: “Il tutto è più della somma delle sue parti.”. Ecco,
l’umanità dovrebbe valere più dei futili gruppetti in cui questa è suddivisa.
Ma basta accendere la tv e guardare un telegiornale a caso per rendersi conto
che è praticamente impossibile che in un mondo infettato da stupide, inutili ed
inconcludenti guerre, questo buon proposito possa un giorno verificarsi
realmente.
Decido di abbandonare per un attimo quei brutti pensieri. A
passi rapidi mi dirigo verso il bar. Ordino un caffè. La cassiera mi guarda
attraverso le lenti dei suoi occhiali, ma sono certo che non stia affatto
fissando me, ma un cliente uguale a tutti gli altri. Uno dei tanti, insomma. Quando
gli porgo l’euro, mi ringrazia, ma nel suo ringraziamento non riesco a
rintracciare neppure l’ombra d’una gratitudine sincera.
Mentre bevo il mio adorato caffè a piccoli sorsi per evitare
di ustionarmi il palato, nella mia testa si forma l’immagine di un’utopica
società fatta di sorrisi, comunicazione, abbracci e gesti affettuosi autentici.
Dove tutti si vogliono bene, a prescindere. In un angolo remoto di questa
splendida visione mi pare di scorgere il volto di Gesù Cristo, ma non sono
tanto sicuro che sia davvero lui.
Esco dal centro commerciale passando attraverso le porte
scorrevoli. Improvvisamente, forse perché i suoi occhiali neri sono tornati in
voga, mi viene da ripensare a Pasolini, precisamente ad un’intervista di circa
quarant’anni fa in cui dice: “Il regime è un regime democratico, però quella
acculturazione, quella omologazione che il fascismo non è riuscito
assolutamente ad ottenere, il potere di oggi, cioè il potere della civiltà dei
consumi, invece riesce ad ottenere perfettamente, distruggendo le varie realtà
particolari. E questa cosa è avvenuta talmente rapidamente che noi non ce ne
siamo resi conto. E’ avvenuto tutto in questi ultimi dieci anni. E’ stato una
specie di incubo, in cui abbiamo visto attorno a noi l’Italia distruggersi e
sparire. Adesso risvegliandoci, forse, da questo incubo, e guardandoci intorno,
ci accorgiamo che non c’è più niente da fare.” Non riesco a non dargli ragione
e a non credere che quella era stata più che una dichiarazione, una vera e
propria profezia.
Mentre mi avvio verso la macchina con le chiavi già
impugnate nella mano sinistra, mi convinco del fatto che la profonda crisi
economica purtroppo non è la sola crisi che stiamo vivendo.
Uno smisurato senso di tristezza mi assale. E’ come se tutto
il male del mondo si fosse impadronito della mia coscienza, stritolandola con
violenza, sbriciolando dentro di me ogni forma di speranza.
Sto per entrare nell’abitacolo dell’autovettura quando in
lontananza scorgo le sagome di una coppia di anziani che camminano tenendosi
per mano, come due giovani innamorati. La mia attenzione si focalizza tutta
sulle loro dita intrecciate, sulla simmetria perfetta creata dalle loro mani
congiunte. Penso a questi due anziani che magari hanno visto la guerra e
provato sulla propria pelle cosa significa essere veramente poveri. Non riesco
neppure a immaginare quanti ricordi possano essere celati nei profondi solchi
scavati dallo scorrere del tempo sulla
superficie dei loro volti.
I due anziani si sono dileguati dietro l’angolo. Nella mia
testa riecheggiano le parole di una nota canzone di Battiato: “Ma c'é voluto del talento per riuscire ad
invecchiare senza diventare adulti. Mio amore mio dolce mio meraviglioso amore,
dall'alba chiara finché il giorno muore, ti amo ancora, sai ti amo. Il tempo
passa e ci scoraggia, tormenti sulla nostra via, ma dimmi c'é peggior insidia che
amarsi con monotonia?”
Metto in moto, esco dal parcheggio e imbocco la strada
provinciale. Mentre guido penso ad un sacco di cose: all’ipotesi che questo
mondo stia per finire, alla crisi economica italiana, al consumismo, alla
rivoluzione spagnola, a quella greca, agli operai licenziati in tronco, agli
esodati, ai precari, ai disoccupati a tempo indeterminato, alle industrie in
fallimento, a chi ha perso tutto, a Gesù, a Pasolini, a due vecchi che si amano
ancora, al prezzo esagerato del caffè e della benzina, ai cartelloni
pubblicitari, ai programmi televisivi diseducativi, all’inutilità sanguinaria
delle guerre, a quel Dio che non riesco mai a capire se esista o meno.
Mi fermo ad un semaforo rosso e in quel momento mi riaffiora
alla mente il finale de “Le città invisibili” di Calvino.
“L'inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n'è uno, è quello
che è già qui, l'inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando
insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti:
accettare l'inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il
secondo è rischioso ed esige attenzione e approfondimento continui: cercare e
sapere riconoscere chi e cosa, in mezzo all'inferno, non è inferno, e farlo
durare, e dargli spazio".
La voce roca e vibrante di un redivivo Louis Armstrong mi
accompagna per gli ultimi metri di strada. Nel cielo sono comparse le prime
stelle, bellissime e luminosissime da mozzare il fiato.
Esco dalla macchina e resto per un po’ di tempo così, con la
testa rivolta all’insù.
Con lo sguardo mi metto a fissare i bagliori delle stelle e
a setacciare i crateri lunari. In quel momento ogni pensiero, ogni paura ed ogni
preoccupazione, spariscono di colpo.
Ragazzi, la vita è proprio uno spettacolo grandioso,
and I think
to myself, what a wonderful world.