domenica 28 ottobre 2012

IL FILO DI ARIADNE


"Anche la luce sembra morire nell'ombra incerta di un divenire".
(Fabrizio De André, Inverno)

Per capire il senso di questo frase dobbiamo calarci nel contesto della canzone, una delle più belle e affascinanti del “Faber”.
La foschia, che tanto caratterizza l’inverno, ci impedisce di percepire la realtà così com’è, trasmutando ogni minimo particolare che ci circonda. Nella canzone De André fa riferimento, ad esempio, ad un campanile che si fa cipresso, evocando senza alcun dubbio il sentimento di morte che, costante, incombe sulle nostre sorti. La torre del campanile, sempre citata nei primi versi della canzone, è l’unica che riesce a disegnare una linea immaginaria nel cielo, in grado di discernere due piani, la terra e il cielo, che si presentano a noi come un retaggio.
In un simile contesto anche la luce, da sempre la più potente, “sembra morire”. Essa è vita, è forza e, da secoli, l’elemento naturale che incarna Dio in persona. Eppure, se ci fermiamo un secondo a guardare attentamente, durante l’inverno questa sembra quasi cedere, dando origine a quell’ombra incerta che, però, diviene continuo mutare delle cose. Il verbo “divenire” infatti, in questo verso, è fondamentale e esprime quel persistente sussulto che è il senso profondo di tutta la nostra esistenza. Ci sarà un domani dunque e, con esso, un altro inverno.
La vita è quindi, in un insieme composito di momenti e di movimenti, una costante. Una costante che, neanche a dirlo, siamo noi.

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